Ho appena finito di leggere “Uruk. La prima città” di Mario
Liverani.
Lui è uno dei più importanti storici delle religioni e del
Vicino Oriente che abbiamo in Italia. Di suo avevo affrontato “Oltre la
Bibbia”, altro libro interessantissimo sulla storia di Israele antico e che
porta in italiano, quella che è ormai la tesi comune della storiografia biblica
straniera, ovvero che l’antico testamento anche nelle sue parti “storiche” è
principalmente leggendario, una costruzione mitica per nobilitare la nascita di
un popolo, ma con pochi contatti con la realtà.
In “Uruk” Liverani affronta invece niente meno che la nascita
della civiltà urbana di cui è il primo esempio e soprattutto il primo esempio
che è possibile studiare non solo tramite le risultanze archeologiche, ma anche
tramite i suoi propri documenti scritti (in una versioni arcaica di quello che
diventerà il cuneiforme, e forse vi stupirà scoprire che la scrittura è servita
in primo luogo, non per poemi epici, o celebrazioni di dei e sovrani, ma per le
registrazioni contabili)
E’ un libro agile, di dimensioni contenute e scritto in un
linguaggio chiaro e comprensibile, malgrado l’analisi rigorosa e approfondita.
Perché è interessante? In generale perché ho sempre trovato
affascinante queste epoche arcaiche, in cui, letteralmente, la “civilità” è
stata inventata da zero, ma soprattutto per tutti i collegamenti che ha con
l’ultimo libro che ho letto (Sapiens. Da animali a dèi. Breve storia
dell'umanità, di Harari, ne ho parlato in un precedente post).
Uruk si distingue dalla precedente cultura Ubaid (da cui
discende in via diretta) di sicuro per le innovazioni in campo agricolo che
aumentano la produttività addirittura di 5 o 10 volte. Questo enorme incremento
però non si traduce in aumento della ricchezza materiale degli insediamenti
agricoli (che nella cultura Ubaid sono già molto evoluti), anzi il “surplus
produttivo” viene estratto e destinato a ben altri scopi (Liverani nel
linguaggio tradisce abbondantemente il suo provenire dalla scuola storiografica
marxista): la ricchezza si concentra nell’insediamento urbano centrale, Uruk
appunto. E’ questo non può non rimandare il pensiero ai ragionamenti di Harari
su quanto e se l’evoluzione della civiltà abbia contribuito alla felicità dei
singoli esseri umani e di come anzi la rivoluzione agricola abbia sensibilmente
peggiorato lo standard di vita della popolazione.
Ma c’e’ un punto in più e anche più importante che richiama
Harari, questa estrazione non è a favore di un re, o di un imperatore (quello
dinastico sarà il passo successivo, fino ad arrivare al prototipo imperiale di
Sargon di Akkad, 1.000 anni dopo), l’entità statale o protostatale non un
chiefdom guerriero. Ad Uruk non c’e’ un palazzo reale. Ad Uruk c’e’ il primo complesso
monumentale della storia umana : l’Eanna, il grande tempio di Inanna, “la
Splendente”, la “Signora del Cielo”, quella che poi sarà chiamata Ishtar dai
Babilonesi e Astarte dai greci.
Il centro della città è l’Eanna, la città esiste per l’Eanna: i
sacerdoti che celebrano, gli scribi che amministrano, i guerrieri che
difendono, gli artigiani che creano e infine gli agricoltori che producono,
tutti esistono per il tempio e per la Dea e sono al suo servizio. Uruk è il
centro del mondo (e i suoi abitanti ne sono fortemente autocoscienti), perché è
ad Uruk che Inanna ha la sua casa e tocca la terra.
E questo ci riporta direttamente ad Harari: la chiave dello
sviluppo umano è la sua capacità di collaborare sulla base di entità esistenti
unicamente nella sua immaginazione: dei, religioni, nazioni, la gloria. La
civiltà nasce dal bisogno di celebrare una divinità nella speranza di
controllare un mondo oscuro e ancora sconosciuto. Inanna la Splendente era solo
un parto dell’immaginazione, ma ha creato un tempio e con lui la prima città e
la prima scrittura, i primi sacerdoti e (orrore!) i primi burocrati.
Inanna non esiste, ma ha dato
origine a tutto il nostro mondo, laggiù nella fertile terra della Mesopotamia
meridionale. L’immaginazione al potere non è uno slogan del ’68.
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