Se c’è una cosa noiosa delle discussioni sull’Ucraina è che troppo spesso si trasformano in risse tra partigianerie filo russo e filo americane (e spesso in ridicola salsa amatriciana), e, purtroppo anche quando si evita questa fine si cade nell’analisi “tattica” del presente.
Anche sulla stampa specializzata si fatica a trovare una analisi sensata e comprensiva di cosa sta succedendo e soprattutto il perché.
Cosa vogliono Russi e Americani? Perché senza provare a capire questo tutto il resto sono parole al vento.
Come ho già avuto modo di scrivere non credo che Putin voglia realmente invadere l’Ucraina (NB il fatto che non voglia, non vuol dire che alla fine non lo farà, purtroppo, ne parliamo meglio dopo).
Una guerra con l’Ucraina, la Russia può, ovviamente vincerla, ma sarebbe costosa e soprattutto presenta ben poche opzioni per vincere la pace.
Le guerre non sono, almeno non dovrebbero essere, fine a sé stesse, sono un mezzo con cui si tenta di raggiungere un obiettivo, ovvero una nuova situazione di pace a condizioni più favorevoli ai propri interessi nazionali.
In questa ottica l’occupazione della Crimea, o anche le guerre nel Donbass e in Transnistria (o anche l’intervento in Siria) potevano avere una loro logica: interventi bene o male limitati che portavano al controllo di aree strategiche. Ma una guerra “totale” per occupare l’Ucraina (o una grossa parte di essa) cosa significherebbe?
Costi enormi per vincerla (e per tenere i territori occupati), costi difficilmente recuperabili.
Ho letto di qualcuno che cianciava che l’obbiettivo sarebbe di annettersi le regioni più ricche dell’Ucraina. Attenzione, al contrario di quello che è stato vero per migliaia di anni, la guerra e l’occupazione di nuovi territori non è più fonte di vantaggi e ricchezza. La prosperità vera delle nazioni, e quindi il potere, nel XXI secolo (ma già dall’inizio del XX se non ve ne foste accorti), si crea con i commerci, con l’industrie, con i servizi, con la tecnologia e il capitale umano, non più occupando città ridotte in macerie, campi bucherellati dalle bombe e miniere abbandonate (unica parziale eccezione, forse, le aree petrolifere o qualche miniera di minerali rari e strategici). I tempi di Attila sono finiti, le guerre sono un costo secco. In altre parole, se la Russia volesse prosperità (che, ricordo, significa potenza) gli converrebbe, e per diversi ordini di grandezza, commerciare con la l’Europa o gli USA piuttosto che occupare un altro bacino carbonifero.
I problemi di sicurezza del paese, che sono la, ridicola, ragione ufficiale della crisi secondo i Russi, aumenterebbero a dismisura, annettendo milioni di ucraini ostili e spingendo tutti i paesi circostanti ancora di più nell’orbita americana per puro terrore di fare la stessa fine. Allora sì che la Russia vedrebbe un visibile riarmo ai confini.
Le possibilità di colloquiare e commerciare con l’occidente sarebbero distrutte e la Russia sarebbe spinta sempre più in braccio alla Cina. Ovvero vedrebbe limitate ancora di più le sue opzioni strategiche e perderebbe altra forza contrattuale in un rapporto che ormai è già piuttosto sbilanciato a favore di Pechino.
Un bilancio assolutamente negativo.
Io parto dal presupposto che tutte queste cose Putin e Lavrov le sanno, le sanno meglio di noi, e non sono una banda di idioti che inseguono qualche miope visione panslavista o di geopolitica mistica del piffero, che alcuni loro fanboy occidentali sembrano attribuirgli.
Quindi che vuole Putin? Unica ipotesi interessante che ho sentito è che non voglia altro che attenzione. Mostra la sua capacità di “creare problemi” per ottenere qualcosa in cambio.
Un altro mantra che gira in certi ambienti è che gli Americani non capiscono “la necessità di integrare la Russia nel quadro di sicurezza europeo”. Frasone che vuol dire tutto e niente, e lascia trapelare un certo snobbistico, e mal riposto, senso di superiorità intellettuale europea, per ma di certo nasconde una possibile verità.
La Russia non è il vero pericolo per gli USA e l’Europa, il vero nemico, il vero avversario dell’Occidente (lasciatemelo definire così tanto per semplificare), dovrebbe essere chiaro, è ormai la Cina.
La Russia è solo un attore, importante, ma non protagonista, in questo gioco.
Russia e Cina hanno numerosi aspetti ideologici in comune, ma hanno anche fondamentali contrasti e questa è una situazione già vista. Nel 1971, Kissinger, un personaggio con le idee chiare, anche se a volte non condivisibili, sfruttò questi interessi contrastanti per spezzare il mondo comunista in ottica anti sovietica. Ora un obbiettivo strategico chiarissimo sarebbe spezzare di nuovo questi rapporti per portare la Russia nel “nostro” campo.
La perdita dell’alleanza russa, e quindi della sua profondità strategica, delle sue risorse e delle sue tecnologie, sarebbe un duro colpo per la Cina già alle prese col calo dei tassi di sviluppo e delle dolorose conseguenze delle prime iniziative di decupling commerciale e tecnologico da parte americana.
Facile no? Ovviamente no.
L’occidente, diciamocelo francamente è una costellazione di paesi che orbitano intorno alla potenza statunitense, che è la principale economia e, di parecchi ordini di grandezza, la principale potenza militare.
Ci possono essere dei partner di prima grandezza, in grado di influenzare o magari compiere azioni autonome (UK, Francia, Germania, o il Giappone, tra i partner extra europei) ma in linea di massima il centro è, e rimane inevitabilmente, Washington. Non è cattiveria, non è imperialismo è semplicemente il fattuale equilibrio di potere del mondo moderno.
Il ruolo e la posizione della Russia Putiniana in una simile struttura sono però difficile da definire e gestire.
Per prima cosa la Russia non potrebbe mai essere un alleato americano al pari della Germania (per fare un esempio), è troppo grande, fisicamente, come arsenale nucleare e anche come aspirazioni internazionali, ma nello stesso tempo, malgrado magari possa sognarlo, non è più un partner alla pari con gli USA.
Occuperebbe una strana, ibrida, posizione intermedia, che probabilmente sarebbero gli alleati europei (gli stessi che si lamentano della cecità e dell’ostilità anti russa americana) a vedere di cattivo occhio, venendo scavalcati da un altro partner “preferenziale” e ben più strategico.
Altro problema è, diciamocelo, la cattiva fama della Russia. Siamo franchi, la Russia ha ben pochi amici tra i suoi vicini. Nei paesi dell’ex Patto di Varsavia o ex sovietici si possono trovare parecchi nostalgici della falce e martello, ma significativamente nessuno che ripianga i “Russi”. A parte Bulgaria e Serbia, l’ostilità contro l’imperialismo russo è aperta e la paura di un suo revival è evidente.
Sono radici che vanno molto in profondità nel passato, anche oltre l’esperienza sovietica (andate a chiedere a Chopin cosa pensasse dei Russi) e che non sono eludibili nel breve periodo. La Russia non ha nessuna capacità di soft power con i suoi vicini; può solo agitare il bastone, come del resto sta facendo con l’Ucraina, e più insiste in questa direzione più peggiora la situazione.
I paesi dell’est Europa guardano con terrore a un riavvicinamento tra USA e Russia, hanno, giustamente paura di essere le vittime sacrificali di un accordo e di essere abbandonate nelle fauci dell’Orso.
Cosa credete che possa pensare un Estone, un Lettone o un Polacco leggendo l’ennesimo editoriale di un giornale italiano o tedesco che si riassume in: Ma chi se ne frega di che fine fanno ‘sti Ucraini, pensiamo ai fatti nostri e alle forniture di gas?
Penserà che il prossimo sarà lui e gli conviene appoggiare qualsiasi falco antirusso sia disponibile sul mercato, costi quel che costi.
Terzo punto di contrasto sarebbe poi quello ideologico e istituzionale tra lo spirito delle società aperte in cui abbiamo la fortuna, spesso senza rendercene nemmeno conto, di vivere con l’impostazione autoritaria del regime putiniano.
Questo forse, è comunque il punto meno difficile da gestire ci siamo tappati il naso con alleati ben peggiori. L’importante è che siano i nostri figli di puttana.
Ultimo fondamentale problema sarà fidarsi del nuovo alleato. La trasparenza non è il punto forte di Vladimir e avere la fama di essere un abile giocatore può a volte far passare la voglia di sedersi al tavolo con te per una partitella in amicizia.
Insomma, l’Ucraina è tutto un bluff e possiamo dormire tranquilli?
No, ovviamente.
La prima ragione è che naturalmente tutta questa mega sega mentale potrebbe essere totalmente toppata, Putin o gli Americani potrebbero avere obbiettivi ancora più a lungo raggio.
Oppure potrebbero non averli: Vladimir potrebbe davvero credere a quello che sostiene e ritenere gli Ucraini una parte del popolo russo che va misticamente riunito in una casa comune, anche a costo di passarci sopra con i cingoli di un carro armato, o magari potrebbero davvero essere ipnotizzati da un rischio di first strike americano per quanto sembri incredibile. Cose più strane sono successe e ci hanno portato a un passo dalla distruzione (vedi Able Archer).
Gli Americani stessi potrebbero avere altri obiettivi, potrebbero giudicare impossibile compiere una operazione di trasformazione delle alleanze così spinta e il loro obbiettivo, più limitato potrebbe essere veramente impantanare la Russia in una costosa e inutile guerra con l’Ucraina, legando ancora di più l’Europa ai legami transatlantici.
Oppure potrei avere ragione che nessuno vuole una guerra, ma che la guerra alla fine scoppi lo stesso.
Il mondo è complicato e le reazioni degli esseri umani sono sempre imprevedibili (la cascata delle conseguenze inintenzionali delle azioni intenzionali, la chiamava Popper), in questa sfida a testa bassa potremmo essere oltre il punto di non ritorno per gli attori in gioco.
Non vedo nessuna offerta né da parte americana né da parte russa di una strada aperta per far salvare la faccia all’avversario e raggiungere un accordo sulla base di quanto fatto finora.
Gli americani nelle loro ultime comunicazioni hanno tacitamente concesso ai Russi quelle che erano le loro richieste ufficiali, pur salvando il punto che la NATO è aperta a tutti hanno precisato che l’Ucraina non sarebbe comunque pronta per essere accettata prima di 15/20 anni. In pratica una eternità in politica internazionale.
Lavrov sa perfettamente che su questo punto non potrà ottenere nulla di più, ma non ha segni di risposta, mentre il continuo martellamento americano sui pericoli di guerra rischia di impedire ai Russi di fare qualsiasi passo distensivo senza sembrare deboli.
Per un regime basato sulla personalità come quello di Putin perdere la faccia potrebbe essere molto più dannoso che condannare la Russia a vincere una guerra e a perdere la pace.
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