Voglio partire in questo viaggio, da una recensione che lessi e che paradossalmente stroncava il libro, diceva qualcosa del genere, cito a memoria: “Missiroli sembra ritenere che basti scrivere bene per rendere interessante una storia banale”. Un epitaffio più che una recensione.
Non ricordo neppure l’autore, ma doveva essere qualcuno di importante e professionale, ma a mio parere sbagliava totalmente le conclusioni: scrivere bene è proprio quello che rende interessanti le storie, è scrivere male che le rende banali , proprio così. La differenza sta tutta lì.
Per il resto però potrebbe essere un’ottima sintesi: Fedeltà è un romanzo che racconta bene una storia banale e la serie tv è in verità una storia ancora più banale, ma filmata, recitata e fotografata molto bene.
Ma forse, a pensarci meglio, pure il termine banale non è corretto (mi sa che il recensore ce l’aveva con Missiroli), piuttosto Fedeltà è una storia comune, ma comune a tutti noi: chi non ha mai assaggiato l’acido sapore della gelosia e del sospetto? Chi non ha esplorato il viso della persona che gli stava accanto, cercando la verità o almeno una traccia di verità? Chi non è mai stato scrutato a sua volta?
Lo spunto di partenza di Fedeltà è “il malinteso” (il, non un): il protagonista, Carlo, ha una relazione con una sua studentessa, Sofia, oppure è tutto un malinteso, come sostengono i due? Margherita, la moglie di Carlo, come reagirà alla sua attrazione sotterranea per quel giovane fisioterapista dagli occhi chiari e dalle mani forti, che sa bene come usare?
La gelosia, il sospetto, il tradimento e la fedeltà sono un argomento principe della letteratura, una infinità di autori ci sono cimentati sopra, io stesso ho usato una storia molto simile per uno dei miei primi racconti decenti (e fatemi fare un po’ di smaccata autopromozione, la trovate qui, Una Storia Semplice, perché e comune a tutti noi, proprio come Fedeltà, quindi semplice, forse banale).
Il libro e la serie prendono strade diverse e hanno punti di forza e debolezza diversi, che possono rendere proficuo leggere sia uno che vedere l’altro, le due diverse modalità di fruizione possono veramente arricchire la storia.
Il romanzo è decisamente più psicologico e sfaccettato, come sensazioni e come sentimenti, con personaggi tridimensionali e piacevolmente contradittori, con una conclusione intimista e dolce amara e assolutamente non ordinaria. Quello che invece ho trovato ostico è stato proprio lo stile di scrittura. Non voglio dire che non sia bella scrittura, lo è, Missiroli ovviamente sa come scrivere bene, ci mancherebbe, ma non è una buona scrittura messa al servizio della storia e del lettore, sembra piuttosto un esercizio accademico di abilità per far vedere ai suoi pari quanto sia bravo, e magari, appunto, vincere uno Strega Giovani, ma rende faticoso seguire i fatti e i sentimenti dei personaggi.
La serie televisiva è assolutamente speculare. La tecnica narrativa è ottima, i dialoghi, la recitazione, la gestione dei tempi, la scelta stessa scelta degli attori sono coinvolgenti e ti trascinano da una scena all’altra facendoti sentire parte delle loro incertezze e delle loro sofferenze. La stessa fotografia ti fa struggere persino un romano come me per le foschie e i grigi milanesi che fa sembrare incredibilmente romantici.
Invece e la storia, le conclusioni stesse, e i personaggi che sono profondamente modificati, in maniera che stavolta può essere veramente definita banale.
I personaggi sono tutti quanti semplificati, in maniera eccessiva.
Carlo nella serie è un professore di scrittura creativa, un romanziere, forse bloccato, ma già ben conosciuto e inserito nell’ambiente letterario milanese, un figo di successo, diciamocelo. Un uomo che per seguire le sue passioni artistiche ha sfidato il padre, un ricco pezzo da novanta di qualcosa, ammanicatissimo nella Milano che conta.
Nel libro è invece un personaggio estremamente più complicato e interessante nella sua fragilità, non è uno scrittore, è un aspirante scrittore, non ha mai pubblicato nulla, la sua cattedra di professore a contratto part time (unico contatto con l’ambiente letterario) la ha ottenuta solo grazie alle raccomandazioni del potente genitore e sbarca in lunario facendo il creativo… ovvero scrivendo cataloghi per le agenzie turistiche. È questa finzione, mente agli altri o solo a anche a sé stesso, il tentativo di capirsi e darsi forma che lo rende affascinante e lo spinge verso Sofia, non solo l’interesse sessuale verso una bella ragazza ventenne.
Nella stessa maniera, Margherita, la moglie, nella serie è lo stereotipo della donna brillante che si è repressa professionalmente e socialmente per fare da spalla la marito e ora sente la crisi e vorrebbe riesplodere fuori dal suo ruolo, anche sessuale, di moglie borghese. Nel libro è una donna vera tridimensionale, con un delicato equilibrio tra lavoro e affetti (il rapporto con la madre ad esempio) e progetti familiari anche lei con le sue debolezze, che sente i limiti che gli ha imposto la vita, e le sue scelte, ma lavora per ampliarli non per distruggerli. (Nella serie il suo di tradimento è una diretta, semplice, “reazione” a quello, sospettato, del marito, nel libro è una sua fantasia, indipendente e preesistente).
In linea di massima tutta l’ambientazione è trasposta “verso l’alto” nel libro abbiamo una vita normale, il mutuo da pagare, i conti da saldare, le piccole beghe. Nella serie non c’è una sola preoccupazione pratica o finanziaria: la Milano è quella scintillante da bere tra vernissage e locali fichi, i soldi non sono un problema e gli amici ti possono mettere a disposizione in un attimo un loft a city life perfettamente arredato all’ultima moda, si può essere licenziati in tronco senza neppure una preoccupazione che adombri il viso.
L’unico personaggio che rimane più o meno fedele a sé stessa è Sofia, la studentessa, sospetta amante di Carlo, mantiene la sua profondità e il suo tumulto interiore e la scelta di casting la caratterizza perfettamente. Un angioletto dagli occhi cerulei e dalle labbra di fragola, dotata di una innocente, istintiva, malizia assolutamente letale con cui si rigira intorno al mignolino il povero professore che, diciamocelo, il disgraziato non ha una sola chance di salvarsi fin dal primo incontro.
Il trattamento peggiore però lo riceve Andrea, il fisioterapista da cui Margherita è attratta. Nel libro è un personaggio complicato, forse persino in maniera esagerata, con una sua vita interiore, a tratti oscura, e che stabilisce con l’intera famiglia di Carlo e Margherita un rapporto profondo e sui generis.
Sullo schermo è semplicemente un monolitico pezzo di manzo dagli occhi azzurri che indossa giubbotti in pelle e pinna con una potente stradale carbon black, provocando sensuali turbamenti delle parti basse nelle signore che massaggia. Per non dimenticare che il giorno fa il fisioterapista e calata la notte sulla metropoli, da vero Urban Gladiator, si dedica a combattimenti di pugilato clandestini in capannoni abbandonati molto cool, e che fanno tanto Fight Club meneghino. Ovviamente lui pronuncia circa 20 parole in tutto nel corso della serie e risiede in uno studiò monolocale vasto come una piazza d’armi in un ex edificio industriale a tripla altezza (e ti voglio vedere i dolori a pagare il riscaldamento con gli aumenti del gas), arredato shabby chic da interior designer di grido. Insomma, una copertina di Harmony, non un essere umano.
L’ultimo protagonista mancante non è una persona, ma una cosa, anzi una casa. “La casa di via Concordia” il desiderio proibito di Carlo e Margherita, il perfetto nido d’amore per la loro coppia, bramato e desiderato malgrado il prezzo esorbitante e il mutuo da lasciare ai discendenti. Sullo schermo è presente solo in maniera secondaria, nel libro è uno dei fili conduttori della storia, la trama che tiene insieme l’ordito della storia d’amore tra Carlo e Margherita.
Anche i finali tra il romanzo e la serie sono diversi come vi dicevo. Il romanzo copre un lasso di tempo misurabile in anni, Carlo e Margherita attraverso il sospetto maturano e crescono insieme. I loro desideri di tradimento sono delle fantasie interrotte che li aiutano a capire sé stessi e chi gli sta accanto. Conclusioni intimiste e forse non apprezzabili da tutti, ma che hanno, personalmente, toccato le mie corde interiori. La fedeltà verso noi stessi si costruisce tramite la fedeltà a quelli con cui abbiamo costruito il nostro percorso di vita.
La serie, porta in direzione opposta, fa uscire Carlo e Margherita dalla loro zona di confort ad esplorare territori conosciuti per loro stessi. Una idea profondamente diversa. La fedeltà è in primo luogo verso i propri desideri e i propri bisogni.
Ripeto leggete il romanzo e vedete la serie il confronto è interessante e illuminante.
Ho un solo ulteriore provocatorio consiglio: della serie saltate la sesta e ultima puntata. Paradossalmente la fine della quinta puntata è una buona conclusione aperta, anche se forse malinconica. La sesta è solo un ingenuo, e qui il termine banale è appropriato, tentativo di disegnare un favolistico “e vissero felici e contenti” per tutti i protagonisti, come se fosse un filmetto romantico americano.
Rotti i vecchi equilibri nostri eroi ne trovano altri ma di livello infinitamente superiore: sfavillanti successi professionali, sociali e sentimentali, fama letteraria e ricchezze a livello nazionale e internazionale. Veri amori passionali e profondi e, in contemporanea, sveltine con partner occasionali a tutto spiano manco si fosse studenti in Erasmus. Insomma, una vita al massimo.
Io questa di fine l’ho trovata un po’ indigesta, raffazzonata rispetto alla qualità delle altre puntate e troppo inverosimilmente luccicante, rispetto alla storia realistica, o quanto meno verosimile, che va a chiudere. Mi direte voi cosa ne pensate.
Si può vedere e si può leggere. Meglio tutte e due le cose.
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