Si tratta di una serie nientemeno che danese, sviluppata su quattro stagioni, le prime tre uscite in sequenza tra il 2010 e il 2013, la quarta e apparentemente conclusiva apparsa dopo un lungo iato nel 2022.
La serie prende il nome dal palazzo che ospita il parlamento danese e ha come protagonista Birgitte Nyborg, politica rampante che durante la serie, tra alti e bassi, arriva a diventare Primo Ministro. Potremmo descriverla, per semplificare, che è una serie televisiva che si colloca tra il cinismo di House of Card e i buoni sentimenti di West Wing.
La produzione è tecnicamente ben fatta, con ottimi dialoghi e trame sempre interessanti (ogni puntata ha il suo arco narrativo autoconclusivo che si integra con il più ampio arco della serie) con un buon livello di approfondimento psicologico, senza scadere troppo spesso nello stereotipato.
Io ho trovato la serie interessante soprattutto per come affronta la questione della gestione del “potere” e il funzionamento delle democrazie moderne.
Come dicevo gli autori tentano di muoversi in un ambito realistico, non abbiamo gli eccessi buonisti, e un po’ mielosi, di Martin Sheen, ma neppure l’amoralità psicopatica di Kevin Spacey, nel tentativo a volte esagerato di stupire lo spettatore. Brigitte Nyborg è una brava persona ci crede in quello che fa e tenta sinceramente di fare il bene del suo paese, ma deve fare i conti con le logiche del potere.
Ed è questo che rende la storia realmente interessante e, a volte, agghiacciante. Realmente e realisticamente, senza trucchetti hollywoodiani.
Non abbiamo un cattivo potente che ordina di uccidere la gente che lo ostacola: la gente muore, o ha la vita distrutta perché gli ingranaggi del sistema funzionano così e hanno la spietatezza dell’impersonalità.
I media non sono necessariamente corrotti o in mala fede, sono esseri umani veri, con i loro pregi difetti e sogni e problemi, che fanno il loro lavoro di cercare la notizia, l’audience, lo scoop, la denuncia sociale, ma questo non significa che non ci siano compromessi, distorsioni, danni e persone innocenti con la vita distrutta.
Mediare la fine di una guerra civile in un paese africano, non è rose e fiori, ma nemmeno solo interesse economico, ma significa accettare senza reagire le tirate maschiliste e antigay di un aspirante “liberatore” perché è l’unico che realisticamente può far finire i massacri, mettendo da parte i propri ideali e la voglia di urlargli addosso.
Non abbiamo la classica megacorporation hollywoodiana malvagia che blocca i progetti di legge che migliorano il mondo per il suo bieco profitto (o piani di dominio mondiale), abbiamo gli interessi contrapposti delle varie istanze sociali, vere, reali e con cui possiamo persino simpatizzare: i posti di lavoro contrapposti alla conservazione del parco naturale, la libertà alla sicurezza.
Abbiamo i compromessi tra alleati che annacquano le buone idee e le infinite commissioni parlamentari in cui le riforme percui ti sei battuto verranno dimenticate. Perché devi tenerti a galla per poter sperare che almeno la tua prossima proposta passi.
La Nyborg ci porta in un mondo di ideali che devono sopravvivere alla realtà delle società moderne e del metodo democratico, ideali che si trasformano spesso nel compromesso o nella scelta del male minore.
Ci mostra i veri problemi e i veri limiti della politica in un paese democratico e volendo essere ottimisti, ci mostra che malgrado tutto le cose riescono a funzionare
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