Oggi ho pensato ad Alvaro, non ricordo nemmeno il suo cognome, se lo ho mai saputo, malgrado l’importanza che ha rivestito nella mia vita.
Era il proprietario della cartolibreria dietro casa mia, all’angolo, dove adesso c’è il ferramenta.
Lì dentro, da bambino e da ragazzo ho scoperto la lettura e i libri.
Ci passavo le ore, il pomeriggio, una volta liberato dai compiti. Frugavo tra gli scaffali, mi studiavo i nuovi arrivi, occasionalmente lo aiutavo, chiacchieravamo e parlavamo tanto, di libri.
Alle nostre discussioni. si univa, ogni tanto, la professoressa Q., che abitava nell’appartamento a piano terra del mio condominio, quello con il giardinetto. Una casa non piena, ma addirittura coperta, tappezzata, di libri. Scaffali e librerie in ogni angolo libero. Quanti ne ho letti. Quanti me ne ha
prestati. Qualcuno me l’ha lasciato come quell’enorme mattone dalle pagine sgualcite e usurate di Hans Kung. Fu una fatica… ero alle medie.
Alvaro ha chiuso la cartolibreria da anni, ha venduto il negozio, è andato in pensione, è tornato al paese.
Mi ricordo la malinconia di quelle ultime settimane, la sensazione, a me allora ancora sconosciuta, di quando si chiude qualcosa di importante nella vita e bisogna cambiare.
A casa ho ancora, credo, qualche blocco di appunti, quelli della Fabriano, che gli era rimasto invenduto e mi lasciò, erano talmente tanti che ci feci tutto il liceo.
Alvaro non l’ho più rivisto. Ma ieri mi è tornato in mente. Gli devo molto di quello che sono.
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