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Un pranzo a Crisopoli


 


Petros osservò la folla che usciva dal terminal dei traghetti di Crisopoli. Aveva un punto di vista privilegiato (letterale) dall’alto del suo metro e novanta di altezza. Non c’era la confusione che ci sarebbe stata tra qualche ora, quando i traghetti che attraversavano il Bosforo sarebbero stati stracolmi di pendolari che tornavano a casa nei sobborghi sulla sponda asiatica, ma non voleva certo rischiare di perdere il suo ospite straniero, sarebbe stato estremamente sgarbato. E Petros Athanasulis era tutto meno che sgarbato, malgrado lo spirito mordace e la sua ironia spietata, che lo avevano reso famoso come giornalista e commentatore televisivo, era a suo modo un gentiluomo di altri tempi: attento alla forma come alla sostanza. Raramente alzava la voce, una voce che durante il servizio militare era stata allenata a farsi sentire sopra qualsiasi fracasso.

Scriveva allo stesso modo con cui parlava, garbato, educato, gentile, ma era la sostanza che marchiava a fuoco in maniera indelebile i lettori.

Finalmente, con sollievo, riconobbe nella folla la persona che aspettava. Alzò una mano in segno di saluto e l’altro lo riconobbe e rispose, mentre un sorriso bianchissimo si apriva nella sua faccia scura. Johannes Devegowda Amavasya, esimio professore di storia moderna all’Università di Kovai, non era molto cambiato dall’ultima volta che lo aveva visto: piccolo, minuto, barbetta rada, capelli nero carbone (senza un filo di bianco registrò Petros con una certa invidia), vestito elegantemente classico, alla moda indiana.

“Petros!”

“Johannes!”

Non ci furono altre parole, tra loro non servivano, e i due amici si abbracciarono dandosi pacche sulle spalle. Petros quasi avvolgendo con la sua stazza imponente l’amico gracile e minuto. Si separarono dopo alcuni istanti e si guardarono con affetto.

“Ma quanti anni sono?” Chiese Petros banalmente “Cinque?”

“Direi almeno sette.” Rispose l’altro. “Da quando ci vedemmo a quella conferenza a Bijapur. 1958 se non erro!” L’accento straniero, caldo ed esotico, ma fortissimo, del suo amico non era per niente migliorato.

“Vero! Troppo tempo che non vengo in India… troppo tempo! Per fortuna sei tu qui! Vieni, andiamo, ho prenotato in un posto delizioso e avremo tutto il tempo di parlare seduti comodi con qualcosa di buono nel piatto!”


Si avviarono, a piedi, il ristorante era lì vicino. Talmente vicino che quando arrivarono avevano appena finito la prima serie di quei tipici convenevoli che apre un incontro di amici che non si vedono da lungo tempo: quella delle famiglie. E sì, stavano tutti bene, i figli ormai sull’orlo di non essere più bambini, tutti in salute, le mogli passabilmente felici (Petros ricordava con affetto la moglie dell’amico, una donna graziosa ancora più minuta del marito, ma con un cervello sopraffino, professoressa di matematica e che parlava, lei, un greco perfetto senza nessun accento).

Entrarono quindi, iniziando a parlare del viaggio di Johannes, compiuto con uno dei recentissimi aerei passeggeri a reazione che erano l’ultimo grido della tecnologia. Viaggio veloce sicuramente, e anche abbastanza comodo, raccontò, ma niente di paragonabile alla cara vecchia sensazione di viaggiare per mare attraversando il mare Arabico, per risalire il mar Rosso, e attraversare il canale Eracliano che lo univa al mediterraneo, e, infine, solcato l’Egeo cantato da Omero, ammirare la Città in tutta la sua magnificenza arrivando lentamente dal mar di Marmara. Così aveva fatto per il suo viaggio di nozze in Europa ed erano ricordi scolpiti nel cuore. Anche, se, bisognava ammettere, la vista dall’altro, durante l’atterraggio, era notevolissima, seppur fugace.

Vennero accolti da una graziosa cameriera che conosceva bene Petros, sia come cliente abituale che come personaggio televisivo e che li fece accomodare a uno dei tavoli migliori, riservato e con una vista unica sul Bosforo, e Costantinopoli di fronte a loro. Alzando gli occhi dal menù potevano ammirare l’antico profilo di Santa Sofia, solo parzialmente coperto dai Nuovi Palazzi voluti da Teodoro IV a fine 1600, dietro spiccavano i grattacieli di cemento e acciaio della città finanziaria, spuntata negli ultimi decenni oltre le mura Teodosiane e a destra (verso il mar Nero), si scorgevano le imponenti torri dell’avveniristico ponte, ancora in costruzione, che avrebbe attraversato il Bosforo.

La conversazione si interruppe il tempo di richiedere una caraffa di rosso cipriota e i piatti del giorno.

La cameriera, piena di attenzioni per il suo cliente VIP, prese gli ordini e si affrettò a tornare col vino e un piattino di Dolmades e uno di Tzatziki come riempitivo per l’attesa.

I due amici rimasero un attimo in silenzio sgranocchiando, occhieggiando le notizie che sfilavano sul televisore acceso: tutti i canali mostravano in pratica le stesse immagini: un barbutissimo Patriarca di Gerusalemme, che ricoperto di paramenti entrava nel Palais des Papes ad Avignone accolto con fasto dal Patriarca d’Occidente altrettanto ricoperto di paramenti, ma perfettamente rasato. I due che si abbracciavano, i due che si scambiavano doni, i due che si baciavano le guance e tutte le situazioni ed immagini che potevano evocare concordia ed amicizia.

“Momento storico.” Disse Johannes sgranocchiando l’ultimo Dolmades. “Fosse la volta buona, parlano sempre di ecumenismo e pace, finalmente qualche fatto.”

“Solo belle immagini” Fece Petros famoso e temuto per non avere peli sulla lingua, ma poi ebbe un attimo di esitazione si trattenne, era passato alla storia per aver apertamente sbugiardato un Hypatos Imperiale in diretta televisiva, ma con gli amici era una cosa diversa. “Il Patriarca di Occidente rivendica ancora la Cattedra di San Pietro e non ce lo vedo proprio il Patriarca di Roma disposto a cedergliela. Potranno farsi tante concessioni reciproche: l’anno prossimo ricambierà la visita a Gerusalemme e sarà accolto con tutti gli onori, magari un giorno sarà pure ricevuto a Costantinopoli e Lui e i Pentarchi si faranno qualche concessione teologica sul credo e su come va distribuita l’Eucaristia, ma il blocco rimane quello, lui vuole Roma e nessuno è disposto a restituirgliela.”

“Beh,” provò a ribattere Joahnnes. “Si potrebbe fare come in Egitto no? Due patriarchi, stessa sede.”

“Sì e Melkiti e Copti che litigano a ogni piè sospinto. Con Mussulmani, Ebrei e compagnia varia che si uniscono alla mischia. In Egitto mi sembra che la nostra politica religiosa sia riuscita a creare un bel esempio di disastro in attesa di scatenarsi, piuttosto che un paese equilibrato e stabile.” Si sporse in avanti. “Infatti, il governo italiano è restato molto molto silenzioso, secondo me non gradisce per niente che qualcuno rimesti le acque, da loro una consistente minoranza è fedele al Patriarca d’Occidente. Non mi meraviglierei avessero già protestato sia con la Pentarchia, sia col governo di Sua Maestà.” E gli fece l’occhiolino.

Per un attimo. L’altro lo fisso perplesso e meravigliato, per poi sorridere a sua volta sapendo quanto l’amico fosse ben informato su quello che succedeva nei palazzi del potere. 

Fu Petros a cambiare argomento, spostandolo in una nuova direzione non necessariamente più tranquilla.

“Allora su cosa stai lavorando? Scrivi qualcosa di nuovo?”

“Scrivere? O sì ci provo, malgrado la vita universitaria quest’anno sia molto molto impegnativa.” Mandò giù un sorso di vino e continuò. “Sto buttando giù articolo sulla politica del Viajanagar rispetto alla penetrazione Romana nel Deccan, nella seconda metà del XVII secolo. Sono usciti dei nuovi documenti dagli archivi di stato. Niente di rivoluzionario, ma precisano meglio l’equilibrio a corte tra gli Esarchi Imperiale e le autorità locali durante il regno di Venkata II. E tu? Mille cose come al solito, immagino.”

Petros rise, solare come sempre. “Sì in effetti. Troppe forse. Sto rivedendo una sceneggiatura, che vogliono fare un film di un altro dei miei romanzi gialli, uno di quelli sull’Arconte Metaxas.” 

Johannes annuì. “Ah mia moglie sarà contenta! Non se ne perde uno.”

“Poi avrei in bozza un altro romanzo storico, ambientato in Italia dopo la restaurazione imperiale. Tutti intrighi: papisti contro di noi, noi contro i Francesi, Francesi contro i papisti…. Insomma, è un bel periodo quello, gli spunti per un romanzo d’avventura non mancano. Volevo scrivere una cosa su Jacopo Sartor e la sua prima spedizione verso Celebes, ma l’editore voleva andare sul sicuro.” Alzò le spalle. “Ogni tanto gliela do vinta!” Si fermò un attimo all’arrivo della cameriera coi loro ordini, lascio che la ragazza li servisse, gli concesse un sorriso, facendola arrossire e riprese a parlare. “Poi ovviamente ho tutto il lavoro per le trasmissioni televisive, ma quello è una cosa diversa.”

Ci fu un attimo di pausa mentre imboccava il primo boccone, emettendo un suono soddisfatto. Poi riprese, arrivando al punto delicato.

“Poi sto scrivendo un altro volume di quella serie sulla storia imperiale, visto che il primo è stato un gran successo di vendite.”

Malgrado sia stato stroncato da molti studiosi… tra cui, in un feroce articolo accademico, dal tuo discepolo favorito. Ma questo si limitò a pensarlo e non lo disse.

Johannes, sembro limitarsi ad un cenno del capo, continuando a mangiare… e solo dopo un lungo attimo di silenzio apri bocca.

“Sono contento. Tu sai sempre scrivere in maniera interessante, che appassiona.”

Petros rimase colpito, anche un po’ ammirato, dalla diplomazia dell’amico: lodare il suo stile senza parlare del contenuto.

Per un attimo, rimase dubbioso: avrebbe potuto accettare quell’affermazione parlare di altro e ignorare il tutto.

Non era il suo stile però, lui non lasciava alle sue spalle i problemi, li affrontava.

“A te non è piaciuto vero? Lo hai letto?”

Sul viso dell’amico vide una espressione di disagio. Arrivò persino a posare le posate, interrompendo un attimo di mangiare prima di rispondere.

“Sì, l’ho letto.” Ci fu una lunga pausa. “E.. no, amico, mio, scusami, non mi è piaciuto.”

“Non c’è niente da scusarsi. Temevo che non avrebbe incontrato il tuo favore.”

“Se devo essere sincero, non ho capito bene nemmeno dove volevi arrivare.”

A questo Petros aveva la risposta pronta, erano gli argomenti con cui aveva convinto il suo editore:

“Voglio scrivere una storia dell’impero, ma non una storia come le altre. Una storia semplice, di facile lettura, per il lettore medio, ma accurata. Ci sono in commercio solo testi scolastici, o di alta accademia, o… o… porcate.” Sbottò. “Voglio scrivere qualcosa che possa istruire, ma anche appassionare.” Si interruppe per un bicchiere di vino. “Ho in mente di scrivere 6 volumetti agili.” E inizio a descrivere il piano dell’opera come se l’era immaginata. “Un volumetto per ogni impero: Il primo Impero da Augusto fino a Costantino, il Secondo da Costantino ad Eraclio, il terzo da Eraclio a Isacco Angelo, il quarto da Teodoro Lascaris fino a Giovanni V Paleologo, il quinto da Manuele II Paleologo a Tommaso II Paleologo-Kamitzes e poi il Sesto da Nicola I Mouzalon fino alla fine della Grande Guerra. Il resto è contemporaneità e lasciamolo stare. Poi potrei aggiungerci altri due volumi sulla storia antica uno sulla Roma preimperiale e un altro sulla storia degli Elleni. Questa l’idea!” 

Si accorse solo dopo aver finito dell’enfasi con cui avevo parlato e dello sguardo ancora perplesso dell’amico. Che lentamente iniziò a parlare.

“Vabbene, capisco…. Ma quello che hai pubblicato allora non è.. insomma, dovrebbe essere il quinto libro di una serie?”

“Sì esatto… la restaurazione imperiale di Manuele II Paleologo fino al culmine dell’epoca coloniale….. lo so. Ma l’editore pensava che fosse il migliore per attirare il pubblico e testare la mia idea… la grande ribellione del 1404, l’eroismo di Demetrio Phouskarnakim, l’intelligenza politica di Manuele II! Ho dovuto concederlo. A me andava pure bene… avevo tutto il materiale sai, in pratica la bibliografia di base è quella del mio “Gli arcieri a cavallo imperiali nella transizione tra quarto e quinto Impero. Influssi Tataro-Timuridi e Arabo-Islamici” avevo tutto pronto e in testa.”

“Gran bel libro quello.” Disse Johannes, come a cambiare argomento. “Veramente ben fatto.”

“Grazie, ma dimmi cosa non ti è piaciuto di quello di cui parlavamo.”

“È proprio necessario? Perché parlare di queste cose, dopo tanto tempo che non ci vediamo.”

“Perché ci tengo alla tua opinione.”

Si guardarono, poi Johannes sembro annuire, ma non sorridere.

“Quello che hai appena raccontato, dovrebbe rendere chiaro, perché io non lo apprezzi.” Si interruppe, si pulì la bocca con il fazzoletto poi, dopo un attimo di riflessione, continuò. 

“Dimmi. Riassumimi un po’ come descrivi la Grande Rivolta del 1404.” Fece Johannes con il tono da professore che interroga, uno studente capace, ma poco attento.

Petros istintivamente ubbidì.

“Beh. La rivoluzione del 1404 comincia nel maggio quando Demetrio Phouskarnakim con alcune decine di compagni si rifugia tra le montagne della Tessaglia dopo aver ucciso dei soldati ottomani che avevano molestato la sua promessa sposa.” Johannes fece un gesto infastidito come a dirgli di lasciar perdere i dettagli di colore. “Inizialmente le autorità ottomane sottovalutano la faccenda pensando che si tratti di poco più di un bandito, oltretutto la sconfitta subita ad Ancyra da parte di Tamerlano li aveva molto indeboliti e le guarnigioni erano ridotte al minimo.

Ma Phouskarnakim dimostrò di essere più di un brigante. Molto più. Sconfisse tutte le truppe che gli erano state inviate contro, fino a sconfiggere e uccidere lo stesso Pasha di Larissa.

A quel punto il Basileus Manuele II, inizio ad appoggiarlo, inviandogli gli aiuti che la sua situazione gli permetteva di inviare. Prima in maniera quasi segreta, poi man mano più aperta, man mano che la posizione ottomana si indeboliva anche a causa delle altre rivolte nell’ Epiro o tra i Bulgari.

Infine, nel 1407 dopo la presa di Larissa, lo stesso Basileus compì l’eccezionale gesto di andare ad incontrarlo di persona e Phouskarnakim fece il suo famoso atto di sottomissione consegnandogli la città e tutti i territori che aveva liberato. 14 luglio, la data standard per indicare l’inizio del 5° Impero.”

Si fermò a bere un sorso di vino.

“Ti fidi che conosco la storia? Oppure devo andare avanti con la sconfitta Ottomana del 1420 e la presa di Nicea. La riconquista di Adrianopoli del 1440, con la definitiva espulsione dei Turchi dalla Balcani? Posso anche andare anche oltre sai? La sottomissione del Despota di Epiro Costantino II, la guerra contro l’Ungheria, le guerre Veneziane. Posso arrivare fino alla prima e seconda guerra Timuride, Tommaso I il Glorioso, Elena II la riformatrice, la conquista dell’Egitto… e poi l’espansione coloniale nel XVII e XVIII secolo, in Asia, Africa e In America.”

Si rifermò e finì il bicchiere.

“Petros, lo so che la storia la sai e tu sai dove voglio arrivare, ma stai facendo scena come tuo solito, amico mio. Tu racconti la storia in modo sbagliato.”

“È il modo migliore e più interessante per raccontare la storia!”

“Ma è il modo sbagliato”. Ripeté Johannes e Petros avrebbe scommesso che nel tono ci fosse un filo di vera indignazione. “La tua narrazione fa sembrare che Demetrio Phouskarnakim abbia ‘cambiato’ la storia. Invece non è così.”

“Non sono un totale ignorante.”

“Appunto, conosci meglio di me cosa ci insegna la Cliodinamica. UnA rinascita imperiale era nell’aria ed era scontata. L’espansione turca, in Anatolia e nei Balcani, era il canto del cigno del grande ciclo della civiltà islamica. Era una struttura debole e posticcia, destinata necessariamente a cadere.

Così come era destinata ad essere sanata la spaccatura del Mediterraneo, che non può essere una frontiera tra due culture, ma necessariamente diventa il centro vitale di espansione del polo occidentale.”

“Paparrigopulos.” Petros citò istintivamente il più grande storiografo cliodinamico dell’ultimo secolo.

“Esatto Paparrigopulos!” Esclamo l’amico soddisfatto. “Anche tu hai studiato con lui per IL dottorato, no? Che diamine povero Paparrigopulos ci ha scritto quante pagine sul concetto di poli continentali! E tu, un suo discepolo, lo ignori.”

Petros trovava quasi divertente che l’amico lo stesse praticamente rampognando come se fosse uno studente.

“Diavolo che ricordi…. I Poli continentali.”

“Agli estremi della massa terrestre Centrale ci sono i due principali poli di attrazione geopolitica e civilizzatrice: Il mare Mediterraneo e le valli gemelle del fiume Giallo e Fiume Azzurro.” Cantilenò Johannes ripetendo a memoria la definizione.

“Queste aree geopoliticamente privilegiate” riprese Petros portando avanti la citazione “sono necessariamente la sede di civiltà a vocazione imperiale e unitaria.”

Si interruppe e fu Johannes a completare il gran finale.

“Queste civiltà imperiali possono attraversa cicli di crisi e di espansione, di spezzettamento o ritirata, ma tornano sempre a ri-espandersi e riaggregarsi all’interno dell’area geografica del polo, costituendo una imprescindibile costante storica.” Fece pausa. “Ma da come scrivi, fai quasi sembrare che questa ciclicità potesse essere spezzata. Che gli Ottomani potessero diventare un grande impero duraturo, rendere permanente la trasformazione del mediterraneo in una zona di frattura e non di unità.

Fai sembrare che senza il caso fortuito di un soldataccio turco che infastidisce una ragazza e del suo promesso che reagisce, l’Impero non sarebbe risorto come una fenice dalle sue ceneri.”

“Ma si legge bene.” Lo provocò Petros.

“Tu sai scrivere bene! Certo che si legge bene. Ma hai scritto un romanzo, non un libro di storia.” Rispose l’amico.

“Lo prendo quasi come un complimento.”

“No, non lo fare, che se tu fossi un mio studente ti boccerei.”

“Per fortuna me la sono scampata allora.”

Scoppiarono entrambi a ridere.

“E allora mi puoi se non altro perdonare, di aver infangato la tua amata geopolitica cliodinamica?” Chiese.

Si guardarono, provando a non ridere.

“Un'altra caraffa di questo rosso e potrei farlo.” Disse Johannes picchiettando su quella che era prossima a finire. Petros alzò la mano per ordinarne un'altra.

“Vorrei solo che tu capisca che è solo un metodo di narrazione per far appassionare la gente alla storia, non puoi farcela parlando solo di forze sociali ed economiche e strutture geopolitiche.” Continuò.

“Dovresti piuttosto scrivere un romanzo di storia alternativa. Uno in cui l’Impero non è quella forza trainante della civiltà e baluardo della fede che è sempre stato nella sua storia bimillenaria, ma uno in cui è morto e scomparso ed è oggetto solo di curiosità storica.” Gli rispose Johannes.

“Che strano mondo sarebbe.” 

“Uno in cui magari Costantinopoli diventa la capitale di un Impero Turco e Mussulmano. In cui il Cristianesimo scompare, dal mediterraneo orientale e la sua unica sopravvivenza è quella latina.”

“Uno in cui il Patriarca di Occidente, rimane a Roma, con le sue pretese di dominio temporali e spirituali.” Rincarò Petros. 

“Uno in cui Francia, Inghilterra, Spagna e Portogallo si contendono la supremazia sui mari e sulle colonie.” Aggiunse Johannes.

“Cosa sarebbe successo all’India, non fossimo arrivati noi Romani nel XVI secolo, attraverso il Mar Rosso, dopo aver preso l’Egitto?” Chiese provocatorio Petros. “Sarebbe stata conquistata dai mussulmani dal nord, o colonizzata dagli Europei? Magari dagli Inglesi.” Scherzò. “Tu avresti potuto essere Mussulmano… o addirittura Latino e parlare inglese invece che greco.”

Era forse un po’ troppo per Johannes che si affrettò a farsi un segno della croce. Era decisamente più praticante di Petros, che come tutti gli abitanti di Costantinopoli, che da  1600 anni sperimentavano cosa significasse vivere nel centro pulsante del cristianesimo avevano iniziato a prendere la cosa con una certa non calanche. 

“Ma così non è stato. Grazie al cielo.” Concluse Johannes con tono deciso. “L’Impero è sopravvissuto per 2000 anni e ne sopravviverà altri 2000.” Petros alzò doverosamente il bicchiere a quell’augurio. “Un impero che è andato dai Caraibi, al Mediterraneo, all’Africa, alla mia amata India, fino all’arcipelago indonesiano. Che ha portato civiltà, pace, prosperità e la fede cristiana.”

Petros avrebbe avuto qualcosa da ridire sulla pace e la prosperità portata dall’Impero… ma tacque, come spesso succedeva il suo amico indiano era più Romano dei Romani e si rendeva conto di averlo già provocato abbastanza per quel pranzo.

Sorrise e rialzò il bicchiere. 

“Lunga vita a al Basileus.” Brindò.

“Lunga vita a Niceforo IX.” Rispose Johannes.

E i due amici bevvero alla salute all’Imperatore dei Romani, Protettore della Fede e vice reggente di Cristo in terra, come facevano abitualmente parecchie centinaia di milioni di persone in quella anno di grazia 1961.


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