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Sabbie Arabe

 Oggi parliamo dell'Arabia Saudita, ma non quella dei grattacieli della Mecca o dei progetti di futuristiche città utopiche, parliamo delle sue origini che affondano nella sabbia del deserto come un romanzo di avventure esotiche. 

Se il Regno di Arabia Saudita è stato ufficialmente fondato solo nel 1932, le sue origini hanno radici ben più antiche, una storia decisamente affascinante, quasi da romanzo di avventura.

Il nucleo storico dell’Arabia Saudita è la regione del Najd, il centro desertico della penisola araba, una regione, diciamocelo francamente, talmente povera e marginale da essere sostanzialmente ignorata da tutte le potenze che si sono succedute nel Medio Oriente fin di tempi antichi: era lasciata al dominio dei vari piccoli capi locali delle oasi e alle tribù beduine, uno stile di vita rimasto immutato realmente per millenni.

La nostra storia comincia a metà del 1700 nell’oasi di Dariya nel Najd centrale, dominata dal clan, di origine beduina, degli Al Saud, con l’arrivo di un personaggio di rottura: il teologo e predicatore Muḥammad ibn ʿAbd al-Wahhāb.

La storia di questo personaggio è abbellita da molte leggende che raccontano le sue peregrinazioni e le persecuzioni a cui venne sottoposto, di certo sappiamo che apparteneva a una famiglia che aveva una lunga tradizione di Qadi (giudici) della scuola hanbalita (la più tradizionalista delle quattro grandi scuole legali mussulmane) e che aveva studiato a Baghdad e in Persia, prima di tornare nel su natio Najd.

Al Wahhab predicava, con fervore e abilità, il ritorno a un Islam originario e rigoroso, rispettoso della tradizione, che rigettasse le aggiunte e le influenze successive, , le sovrastrutture mistiche e le filosofie straniere.

Edward Said lo interpreta come una delle prime reazioni intellettuali alle avvisaglie dell’influenza europea nel mondo islamico, se altrove, questi influssi vennero interiorizzati e in parte integrati, in aree così isolate come i Najd non potevano che provocare un rifiuto.

Qualunque siano le possibili interpretazioni storico filosofiche che vogliamo dargli, il predicatore Al Wahhab entrò nelle grazie dei fratelli dello Sceicco di Dar’ya e infine riuscì a convertire alla sua interpretazione del’Islam lo stesso Muhammad ibn Sa'ud.

Era l’inizio di una alleanza plurisecolare tra le due famiglie, tra il trono e l’altare (metafora ovviamente, lo Sceicco non aveva un trono e il predicatore non aveva un altare).

Muhammad ibn Sa'ud protesse il predicatore e lo aiutò a diffondere le se idee, un nuovo fervore religioso si impadronì delle popolazioni locali e soprattutto delle tribù beduine che sotto la sua guida abbandonarono le loro continue faide e incursioni per unirsi in una Jihad per la rinascita del vero islam.

Questa è l’origine di quello che viene chiamato primo regno saudita. Nel giro di pochi anni il Najd venne unificato, la costa del Golfo persico conquistata, l’Oman sottomesso, i beduini Wahabiti attraversavano i deserti in cui si trovavano a casa, arrivando a saccheggiare e distruggere il santuario Sciita di Karbala in Iraq e a minacciare Damasco in Siria.

I locali governatori ottomani non furono in grado di fermare questa espansione e il potere centrale a Costantinopoli era fin troppo occupato con la minaccia russa nei Balcani e con i problemi, e le opportunità, legate dalle guerre napoleoniche.

Quando, però, le armate beduine conquistarono anche l’Hejaz il Sultano Ottomano si trovò forzato ad agire, il suo ruolo di protettore delle Città Sante di Mecca e Medina era fondamentale per legittimare il suo potere.

Impossibilitato ad agire autonomamente, subappaltò la reazione al suo ambizioso e capace vassallo, Ali Pasha, il nuovo Khedivè di Egitto.

I Sauditi non poterono resistere all’esercito egiziano armato con armi europee e artiglierie moderne. Nel 1818, dopo una lunga resistenza, la loro capitale Dar’ya fu conquistata e rasa al suolo per non essere mai più ricostituita, modello cartago delenda est 2000 anni dopo.

L’ultimo Sceicco Saudita Abdallah ibn Sa'ud venne portato prigioniero al Cairo, decapitato e la sua testa inviata a Costantinopoli in dono al Sultano Ottomano.

Poi Muhammad Ali e gli Ottomani entrarono, come era prevedibile, in contrasto e approfittando di questa rivalità, nel 1824, Turki, un nipote dell’ultimo Sceicco saudita conquistò l’oasi di Riyad fondando il secondo regno saudita che visse in guerra pressoché perenne per evitare la sottomissione all’Egitto.

Nel 1891, anche questo regno venne distrutto, ma non dagli egiziani, ma dai Rashid signori dello Jebel Shammar e rivali storici dei Saud che conquistarono Riyad, con l’aiuto degli Ottomani.

Durò poco, infatti già nel 1902 i Sauditi tornarono al potere. A riconquistare Riyad fu un giovane pargolo della dinastia, Abd al-Aziz al Sa'ud, che si era rifugiato in Kuwait e aveva ottenuto la protezione dell’Emiro locale.

Approfittando della rivalità tra i Rashid che si appoggiavano agli Ottomani e gli Al Sabah del Kuwait che avevano recentemente trovato la protezione dell’Impero Britannico, aveva avuto il permesso per radunare alcune decine di compagni, e i fondi per armarli, per tentare una incursione su Riyad

Per capire di cosa parliamo si racconta che almeno fino agli anni ’60 nelle porte della antica fortezza di Riyad si sarebbe ancora trovata conficcata la punta di una lancia scagliata dallo stesso Abd al Aziz, la fottuta punta di una fottuta lancia nel XX secolo, ma la sua azione fu un successo, colta la guarnigione di sorpresa l’oasi fu addirittura  conquistata e il terzo regno saudita fondato.

In poco tempo Abd al Aziz rioccupò buona parte del Najd e poi anche la regione costiera dove attualmente si trovano Darhan e i giacimenti petroliferi, ma che allora era famosa solo per le piantagioni di datteri. Datteri che diventarono la sola merce di esportazione e fonte di reddito del poverissimo regno.

I vari tentativi di Abd al Aziz di avere la protezione britannica diventando un protettorato fallirono. Agli inglesi poteva interessare la costa, non certo il deserto dell’interno. Ebbene sì, c’erano stati che preferivano la “protezione” britannica all’indipendenza.

Piccola nota di colore: i tentativi di Abd al Aziz fallirono anche a causa delle lotte di potere tra l’ufficio coloniale del Cairo e l’India Office che reclamavano entrambi la competenza in quella zona… insomma la burocrazia fa sempre danni.

La Prima guerra mondiale risolse il problema. I Sauditi pur non schierandosi apertamente con gli Inglesi poterono sfruttare la sconfitta ottomana per distruggere i loro rivali al Rashid dello Jebel Shammar e poi addirittura strapparono l’Hejaz e i luoghi santi agli Hashemiti che avevano aiutato gli inglesi (ricordate Lawrence di Arabia?).

I Britannici decisero di non intervenire per non sollevare un vespaio con un intervento di una “potenza infedele” in quelle terre e raggiunsero un accordo di pace e di delimitazione dei confini che ha toni da altri tempi, definendo i confini delle “terre di Abd al Aziz Al Saud”.

Con la conquista dell’Hejaz non solo il regno raddoppiava di dimensioni, ma assorbiva una regione molto più ricca ed evoluta. Non fu facile per Abd al Aziz gestire queste trasformazioni e soprattutto frenare lo spirito di guerra santa religiosa che spingeva i suoi seguaci beduini, gli Ikhwan.

Sfruttò la loro passione in una vittoriosa guerra contro lo Yemen, ma alla fine la realtà era che in qualunque direzione si fosse spinto sarebbe entrato in conflitto con l’Impero Britannico, uno scontro che non poteva vincere.

Nel 1925, una banda di Ikhwan, disobbedendo ai suoi ordini, compì un’incursione in Transgiordania col risultato disastroso di essere individuati da un biplano della RAF e poi finire massacrata dalle mitragliatrici di una colonna di autoblindo. Era chiaro che si doveva trovare una soluzione per tenere a freno gli spiriti dello Jihad Wahhabita.

I suoi tentativi diplomatici di convincere gli oppositori fallirono (malgrado tanta sana corruzione) e il risultato di questo contrasto fu una ribellione e la battaglia di Sabila del 1928, forse l’ultima battaglia risolta con una carica di truppe cammellate, in cui gli Ikhwan vennero sconfitti e distrutti.

Nel 1932, Abd al Aziz unificò formalmente i due emirati del Najd e dell’Hejaz proclamando il regno dell’Arabia Saudita, , e continuò a governare nella direzione di una moderata, molto moderata, modernizzazione.

L’Arabia Saudita, rimaneva uno dei paesi più poveri, isolati e arretrati del mondo. I pellegrinaggi dell’Haji e l’esportazione di datteri erano le uniche fonti di reddito delle casse statali, che in verità non erano separate dal patrimonio personale del re, ed erano affidate a un singolo contabile di origine siriana.

Abd al Aziz fece vari tentativi di trovare potenze straniere che potessero controbilanciare i Britannici. Tra questi tentativi ci fu un approccio anche all’Italia (che era presente nella vicina Eritrea), che portò addirittura ad una piccola missione dell’aviazione italiana con lo scopo di preparare il campo ad una possibile forza aerea saudita.

Altro tentativo fu quello di affidare, nel 1933, ad una compagnia americana la SoCal i diritti di prospezione petrolifera. Malgrado il Re fosse molto dubbioso, nel 1938 venne veramente scoperto il petrolio, in quello che doveva dimostrarsi il più ricco giacimento mai scoperto, ma lo scoppio della guerra ne ritardò lo sfruttamento.

Nel 1945, l’Arabia Saudita si uni alle Nazioni Unite dichiarando guerra alla Germania e nello stesso anno, Roosevelt, di ritorno da Yalta, incontrò Abd al Aziz nel Gran Lago salato del canale di Suez a bordo dell’USS Quincy stabilendo la base del “rapporto speciale” tra Sauditi e America.

Un rapporto speciale durato decenni e che in questi mesi sembra possa essere messo in dubbio.



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