La promozione ha insistito molto che il cast annovera la partecipazione del rapper Salmo.
Diciamo subito che Salmo riesce bene nel suo primo ruolo televisivo, ma anche perché, molto opportunamente gli hanno affidato un personaggio, Snake, un trafficante di droga, che ha solo due espressioni, come Clint Eastwood: cattiva e molto cattiva. Insomma vince facile.
La serie, ve lo anticipo è ben fatta e piacevole da seguire, personalmente mi è piaciuta, ma va sottolineato che basta una veloce analisi per capire come sia un prodotto molto furbetto, che scopiazza allegramente altre serie di successo.
La ricetta è semplice: portare in una ambientazione milanese una storia di malavita realistica e cruda, ma con cui lo spettatore potesse empatizzare, la stessa operazione fatta con successo con Gomorra per Napoli e Suburra per Roma.
Il parallelismo con la trama di Suburra è molto evidente: il motore della storia sono tre giovani, che pur provenendo da mondi diversi, fanno amicizia e uniscono le forze per farsi spazio.
Abbiamo il “virgulto” della mala locale, in Suburra è Aureliano, il figlio del boss di Ostia, in Blocco, Mahdi il nipote del boss del quartiere; il “bravo ragazzo” in Suburra, è Gabriele, figlio addirittura di un poliziotto, in Blocco, c’è Ludo, pargolo della buona società meneghina, e infine abbiamo il giovane rappresentate della malavita “straniera”, in Suburra, è Spadino, il fratellino del boss di una famiglia Rom (ispirata ai Casamonica), in Blocco, abbiamo Bea, la sorellina del capo (il “Palabrero”) della comunità degli immigrati guatemaltechi.
In entrambi i casi la malavita italiana locale si trova a fare i conti con quella straniera che ambisce ad espandersi e a prendere il controllo. Un fenomeno, questo, più che reale come riportano i vari studi delle forze dell’ordine.
Blocco 181 si differenzia però, andando a riprendere anche il classico Topos di Romeo e Giulietta; infatti, mentre in Suburra abbiamo i legami dell’amicizia tra un gruppo di ragazzi, in Blocco 181, Bea, seppur venendo dalla fazione rivale intreccia una relazione con i suoi coetanei italiani. Con entrambi, perché Blocco non disegna una coppia ma un, molto moderno, trio poliamoroso tra Bea, Ludo e Mahdi, amanti che insieme aspirano a mettere in piedi il loro giro di spacciatori senza dover rendere conto a nessuno.
Bea è sicuramente il personaggio più interessante e approfondito e quello che ho preferito. Una ragazza forte, ma anche disperata, che, sue parole alla madre, “yo quiero lo mejor” (voglio qualcosa di meglio), che ricorda con nostalgia quando lei e sua sorella potevano andare a scuola invece di essere manovalanza per piccoli furti e non vuole essere intrappolata nel ruolo prefissato dalla machista comunità guatemalteca: “farmi mettere incinta da un coglione che va in giro a fare lo stronzo col coltello”.
Conoscere Mahdi e Ludo gli aprirà gli occhi su mondi e possibilità che non poteva nemmeno sognare, ed è bella la scena in cui letteralmente li sgrana la prima volta che vede i due baciarsi tra loro (impensabile per la concezione virile della società in cui è cresciuta),.
Non vi sto a dettagliare la trama, vi basti dire che ovviamente le cose non vanno lisce per le aspirazioni dei nostri antieroi, ogni azione provoca reazioni impreviste, ogni piano sembra andare storto, ogni escalation va fuori controllo fino ad arrivare al sanguinoso epilogo dell’ultima puntata.
Bea, Ludo e Mahdi si troveranno di fronte a un bivio: rimanere fedeli alla loro amicizia o tornare ai loro mondi di origine per prepararsi a una sanguinosa faida che li vedrà su sponde opposte. Non vi spoilero la loro scelta, ma di certo la seconda serie si prospetta “interessante”.
Penso continuerò a vederla
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